Una vecchia casa in decadenza, porte che scricchiolano, suoni mostruosi di catene che sbattono ed urli da far accapponare la pelle. Rami dalle forme contorte che grattano sui vetri in una notte buia e tempestosa creando ombre che sembrano dita pronte ad afferrarti. Figure che compaiono e scompaiono in un battito di ciglia, macabri riti e oscuri segreti. Ecco tutti gli elementi per una perfetta storia horror da raccontare ad Halloween agli amici. Qui di seguito troverete cinque luoghi da brivido della Bologna macabra.
Palazzo Malvasia, meglio conosciuta con il nome di “Villa Clara”, è una fatiscente villa nella periferia di Bologna.
Ma chi è Clara? La storia vuole che fosse una bambina che viveva nella villa agli inizi del Novecento.
Cosa c’è di strano? Beh, si diceva che Clara avesse il potere della chiaroveggenza, ovvero riusciva a prevedere avvenimenti che di lì a poco avrebbero avuto luogo. Il padre della bambina, esasperato da questo “fardello”, in un momento di follia, murò viva la figlia nella casa, lasciando quindi che il suo fantasma infestasse l’abitazione. Per questo rientra nella nostra classifica della “Bologna macabra”.
Ad oggi ci sono molte testimonianze di persone che hanno visitato la casa, queste dichiarano di aver visto la figura della bambina nel giardino incolto, o di averla sentita cantare e piangere. Qualcuno dice di aver sentito le note di un pianoforte o di aver visto le finestre illuminate, anche se all’interno dell’edificio non ci sia la luce elettrica. Ma anche strani malfunzionamenti di apparecchiature elettroniche o addirittura oggetti scagliati contro i visitatori, svenimenti e trance.
Nell’edifico pare ci siano state altre morti, un incidente durante dei lavori di restauro che costarono la vita a due operai, ed un bambino cadde in una botola segreta.
Un altro mistero che avvolge la villa è quello della finestra che si trova sopra l’ingresso principale. Molti testimoni affermano di averla vista sparire per poi riapparire davanti ai loro occhi.
Un’altra versione della storia vorrebbe che Clara non fosse una bambina, ma un’ adolescente, figliastra del padrone della villa, che l’avrebbe poi murata viva per punirla di una tresca avuta con un sottoposto della casata.
La leggenda della casa infestata si è così alimentata nel corso del tempo, favorendo la celebrazione di messe occulte e nere, che hanno trovato in questa villa il loro ambiente ideale.
Andando alle fonti, nella documentazione della casa vi è davvero una Clara Mazzetti, vedova Barzaghi, che acquistò la proprietà nel 1928, ma di certo non era una ragazzina. Oggi, la villa versa in uno stato di totale decadenza, l’unica cosa che sembra non consumarsi è la diceria che la vuole una casa infestata e che le fa guadagnare un ruolo di primo piano in Bologna la macabra.
Lo spigolo dell’edificio all’angolo fra Via dell’Archiginnasio e Via de’ Foscherari sorregge uno stemma in perfette condizioni su cui campeggiano una croce nera con due flagelli e alla base un teschio.
Questo segno distintivo apparteneva alla “Compagnia di Divoti dello Spedale di Santa Maria della Morte”, una confraternita medievale di frati che avevano l’usanza di infliggersi pesanti flagellazioni come penitenza ai loro peccati.
La compagnia ebbe origine nel 1336 da una costola della vicina confraternita di “Santa Maria della Vita”. La compagnia fece costruire un ospedale che dava alloggio ai condannati a morte in attesa dell’esecuzione, oltre alle persone in fin di vita in seguito ad aggressioni o torture.
I confratelli erano incaricati di prepaparare al passo estremo i condannati, confortare i moribondi e organizzare la processione della Beata Vergine di San Luca. Solo in alcune circostanze dell’anno era loro concessa la prerogativa di liberare i carcerati e graziare i condannati a morte.
I frati erano soliti mostrarsi con il volto coperto da una maschera di lino bianco fissata alla nuca per mezzo di una cordella e portavano con sé una croce, i flagelli e un teschio.
L’ospedale della morte fu anche sede, il 29 agosto del 1665, dell’autopsia di Elisabetta Sirani, una talentuosa pittrice morta in circostanze misteriose a soli 27 anni. L’autopsia dichiarò trattarsi di un’ulcera perforante, ma circolavano numerose voci di un avvelenamento.
Dove al tempo sorgeva l’ospedale, oggi troviamo il Museo Civico Archeologico e della presenza dell’ospedale conserviamo solo il suo macabro stemma.
Villa Flora è considerata un gioiello dell’architettura Liberty di inizio ‘900, situata sui colli bolognesi.
Ebbe nel corso del tempo numerosi proprietari per poi rimanere abbandonata. Ancora oggi non si conosce l’identità dell’attuale proprietario, ragion per la quale ogni progetto di recupero e restauro è stato abbandonato. La villa risulta pare appartenere all’Ente Nazionale Lavoro per Ciechi, ma questo risulta essere stato sciolto 10 anni fa…
Gli studiosi attribuiscono dunque la proprietà al Ministero del Tesoro, ma il suo portavoce afferma che la villa non è proprietà dello Stato.
I proprietari passati, invece, sono ben noti. Fino all’arrivo di Napoleone, al posto della villa, vi era un fabbricato appartenente alle monache del “Monastero dei Santi Naborre e Felice” di Bologna. In seguito l’area venne venduta e cambiò otto proprietari fino al 1900, quando passò nelle mani del conte Cosimo Penazzi che ne fece costruire un nido d’amore per la moglie. Nasceva così “Villa Flora”.
Il conte tornò ben presto in Africa e la villa venne trasformata in un asilo. Successivamente, divenne una casa di cura per malattie nervose, mentre durante la guerra ospitò gli sfollati e la regia aeronautica militare.
La villa appare nel film “Zeder”, un horror di Pupi Avati, per il suo aspetto di casa degli spettri, fatiscente e abbandonata.
Francesca Alinovi è una donna fragile, alla ricerca disperata di un amore che insegue nella figura di un adolescente e che crede di trovare proprio nel suo studente Francesco Ciancabilla. Quest’ultimo, però, non ricambiava la sua attrazione. Francesco è bisessuale e tossicodipendente dall’eroina, che lo rende impotente e totalmente indifferente all’amore struggente di Francesca.
L’ambigua frequentazione tra la celebre professoressa del corso universitario DAMS e il suo studente, dura per due anni, tra alti e bassi e una distruttiva dipendenza dalle droghe.
La “relazione” giungerà al suo apice e alla sua fine, quando Francesca viene trovata uccisa con quarantasette coltellate nella sua casa in Via del Riccio.
Le attenzioni degli inquirenti ricadono immediatamente sul suo giovane allievo.
Quella domenica Francesca scompare dopo una serata passata tra amici, artisti ed eccessi. Dopo due giorni di silenzio e di appuntamenti mancati, allarmati, gli amici di Francesca allertano la polizia. La scena è da brivido. La vittima è distesa sul pavimento con due grandi cuscini che le coprono il viso e parte del corpo. Si tratta di ferite superficiali che mai avrebbero causato la morte se una di esse non fosse stata inferta alla giugulare. Quella domenica lei era con Francesco che lei avrebbe dovuto accompagnare in stazione nel tardo pomeriggio.
Il delitto venne attribuito a Francesco Ciancabilla. Sul suo diario Francesca parlava di Francesco, del quale era follemente innamorata ma con il quale non era mai riuscita a concretizzare un rapporto intimo.
Quel giorno fatidico Francesca aveva cercato un ulteriore contatto fisico, un bacio, un abbraccio, o magari qualcosa di più, ma il rifiuto davanti al quale si è ritrovata è stato più violento del solito, magari fomentato dagli effetti delle droghe.
Apparve strano che non si fossero sentiti rumori o notati strani movimenti in via del Riccio, ma non si trovò nessuno che avesse potuto contribuire in veste di testimone oculare.
Il giovane artista venne interrogato e dichiarò di aver trascorso con Francesca il pomeriggio, sminuendo però la loro relazione e classificandola come una semplice amicizia.
In mancanza di prove, Francesco viene assolto in primo grado, ma per Bologna, Ciancabilla è colpevole.
Tra il 1982 e il 1983 altre tre persone furono uccise nel mondo accademico: Angelo Fabbri assistente universitario, Liviana Rossi e Leonarda Polvai , entrambe studentesse. Questi quattro omicidi, vennero definiti come “delitti del Dams” e descrivono una Bologna macabra, nevrotica, oscura, come nessuno si aspetta.
La Bologna macabra offre un’ altra casa nella sua lista di luoghi oscuri. Villa Samantha è una vecchia abitazione lasciata a marcire tra vandalismo, satanismo e leggende sul paranormale.
La casa era abitata dal parroco e dal suo personale (incaricato sia della cura del prete stesso, che di quella della chiesa). Successivamente, senza alcun motivo apparente, sia il parroco che i lavoratori vennero cacciati dall’abitazione. Si pensa che il reale motivo dello sfratto, fu uno scandalo verificatosi tra il sacerdote e la ragazza che provvedeva a lui. Complice il fatto che non si trovino più documenti relativi alle attività della chiesa.
Così attorno alla vicenda del prete cominciarono a ruotare numerose leggende. La più famosa ci dice che il parroco abbia ucciso la ragazza con cui aveva una relazione (appunto Samantha) e si sia successivamente impiccato. Da allora, il fantasma di Samantha abiterebbe la casa. Un’altra versione, dice che il fantasma non riesca ad abbandonare la villa a causa degli abusi subiti in vita da parte del prete.
Accanto al rudere vi è, infatti, un vecchio cimitero, nel quale sono sepolte anche alcune vittime delle incursioni aeree durante la seconda guerra mondiale. Più volte sono state trovate ossa in giro per la villa o nel cortile circostante, poiché le tombe venivano profanate per eseguire dei riti satanici.