Credo che tutti abbiate almeno sentito parlare del tour dei sette segreti di Bologna: la piccola Venezia di Via Piella, Canabis Protectio in Via Indipendenza, l’erezione del Nettuno dalla pietra della vergogna, il telefono senza fili di Palazzo del Podestà, le tre frecce di Corte Isolani, il vaso rotto in cima alla Torre degli asinelli e Panum Resis a Palazzo Poggi. Questi sette segreti sono ormai un cult, ma appunto per questo non sono più “segreti”. Ecco perché siamo andati alla ricerca di altri sette segreti da proporvi, alternativi e mai sentiti (davvero segreti insomma), che vi faranno scoprire sette nuovi angoli di Bologna!
A Bologna esistono delle insegne figurate utilizzate per indicare graficamente (per gli analfabeti) il nome della via.
In via del Cane, all’angolo con Via Marsila, è visibile un bassorilievo su pietra; sopra la finestra al piano terra, una testa d’uomo con barba bianca rivela l’identità di Andrea Barbazza che visse nel palazzo retrostante.
In via del Luzzo, la quale probabilmente prese il nome dall’antica famiglia dei Liuzzi che abitavano nelle vicinanze, è presente un pesce (quasi sicuramente un Luccio) sempre realizzato con la tecnica del bassorilievo.
In via del Riccio, al civico 2, è presente un piccolo riccio: presumibilmente la via prese il nome dalla famiglia Richi, da cui “Rico” e successivamente “Riccio”. La via è inoltre tristemente famosa per il delitto del Riccio.
La Diavolessa di via d’Azeglio è una figura tanto inquietante quanto affascinante. Collocata sotto il porticato dell’ex ospedale degli Innocenti, antico orfanotrofio della città (fino al 1800), è una statua in ferro battuto dalle sembianze chiaramente femminili, ma dalla testa canina.
Le sue origini sono misteriose: a Firenze se ne trova una copia esatta e più antica, la quale ci fa presupporre che la diavolessa di via d’Azeglio sia una copia del gargoyle fiorentino.
Ma perchè collocarla in questo punto? A che scopo?
Nel 1245 Pietro da Verona si trovava a Firenze e mentre predicava nel mercato vecchio della città, apparve improvvisamente un cavallo nero imbizzarrito. Pietro riconobbe nell’animale il diavolo e lo scacciò facendo il segno della croce. Il cavallo impaurito scappò lasciando dietro di sé un forte odore sulfureo. Per ricordare l’evento venne quindi collocato il gargoyle.
Si pensa dunque che la copia bolognese sia stata collocata all’ingresso dell’orfanotrofio per indurre i genitori che si apprestavano ad abbandonare i neonati a riflettere, infatti sullo stesso muro si può notare una Madonna che stringe al petto il proprio bambino, rimostranza delle gioie della maternità.
Qualcun altro sostiene che la statua sia la protettrice dei viandanti, altri ancora ritengono che sia un monito a ricordo della strega Caterina vissuta nel quartiere nel XV secolo.
Via Porta di Castello è l’unica strada sviluppata in rilievo nel centro storico. A partire dall’alto medioevo era stata costruita, a ridosso delle mura, una fortezza quadrata. Verso il X secolo questa aveva preso le sembianze di una rocca ed era stata rinominata “Castello Imperiale” dato che ospitò la Contessa Matilde di Canossa (vice regina d’Italia incoronata nel 1111 da Enrico V di Franconia). Alla sua morte nel 1115, il castello fu raso al suolo dai Bolognesi , e due secoli dopo , Alberto Conoscenti avviò la costruzione della sua casa.
La via è anch’essa stata costruita sui resti del palazzo e per questo motivo è sopraelevata rispetto alle altre vie del centro Testimone degli avvenimenti è l’attuale voltone che corrisponde alla porta del castello.
Nel sottoportico di Casa Benelli è incassata nel muro un’antica buchetta della posta. Sopra di essa un targhetta incisa nella pietra recita:
“In questo Fabbricato il 1 Gennaio 1768 venne aperto il primo ufficio della posta delle lettere di Bologna”.
La cassetta è ciò che rimane del primo ufficio di posta di Bologna. Qui la posta veniva smistata e recapitata (l’indirizzo non veniva nemmeno recapitato: sulle buste venivano solamente scritte nome, cognome, titoli e città).
Gli uffici postali esistevano a Bologna già dal 1567 ma solo a partire dagli inizi del Settecento si realizzò una riforma dell’impianto.
Fatto curioso è che nel 1630, quando la peste colpì l’Europa, fin dai primi casi verificatisi nel milanese, Bologna decise di rifiutare tutta la corrispondenza proveniente da zone sospette. Le lettere vennero inoltre messe in quarantena e prima di essere recapitate venivano lavate in aceto e asciugate con vapori sulfurei o bacche medicinali.
Nel ghetto ebraico di Bologna esistono due abitazioni che hanno mantenuto, ben visibili sotto i portici, dei piccoli spioncini collegati con l’interno delle case.
Questi spioncini permettevano di scorgere chi si avvicinava alla porta d’entrata di casa, una sorta di videocitofono moderno. Nella seconda metà del 1500, durante la segregazione degli ebrei nei ghetti da parte delle disposizioni pontificie, gli spioncini venivano utilizzati per tutelare gli abitanti del ghetto dalle spedizioni punitive antisemite, permettendo dunque ai giudei di fuggire o nascondersi. Oltre agli spioncini, come misure di prevenzione, vennero creati anche dei ponteggi che permettevano agli ebrei di muoversi da una casa all’altra senza mettere piede in strada.
La casa in via Valdonica è tristemente nota anche per esser stata l’abitazione di Marco Biagi, giuslavorista italiano, qui assassinato il 19 marzo 2002 venne dalle Nuove Brigate Rosse.
L’Osteria della Buca delle Campane, in Via Benedetto XIV, è sede della Goliardica Balla dell’Oca (una congregazione interna della Goliardia Bolognese), ancora oggi qui è conservata la colonna attorno alla quale erano legate le matricole in attesa del processo. Quest’ultimo terminava con la debragatio, il rito solenne tramite il quale le matricole diventavano parte delle balle. La sala è inoltre affrescata dagli stesso goliardi che hanno ritratto delle scene tipiche della vita studentesca.
Il lato destro di Palazzo d’Accursio si contraddistingue per una striscia bianca sulla quale vi sono incisi dei solchi larghi e profondi qualche centimetro: sono le unità di misura Bolognesi stabilite in età medievale dal comune. All’epoca, nella piazza antistante, si teneva il mercato cittadino e l’esigenza di rendere pubbliche le unità di misura standard nacque a causa di alcuni mercanti truffaldini che per misurare le stoffe (piuttosto che le corde) utilizzavano dei campioni più piccoli delle misure standard.
Nel XIV secolo vennero dunque stabilite una volta per tutto le unità di misura della città e vennero incise nella pietra, tra queste ricordiamo:
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