I sette di Bologna: un giro alla scoperta dei suoi segreti

I sette di Bologna: un giro alla scoperta dei suoi segreti

Li chiamano segreti, ma ormai sono talmente famosi che forse questo nome non è più appropriato. Come ogni tradizione però, nonostante la loro notorietà, conservano quel fascino tipico del folklore di un particolare luogo.

C’è chi sostiene che siano sette, chi invece dice che sono molti di più, l’unica cosa di cui si è certi è che chi passa per Bologna non può non girovagare per le vie alla loro ricerca. Basta spostarsi un poco più a sinistra, volgere lo sguardo all’insù, aguzzare un po’ la vista ed eccoli lì, nascosti, ma allo stesso tempo così chiaramente visibili, perchè si sa che il modo migliore di celare qualcosa è metterlo in bella vista.  

Il “dito” del Nettuno

Il primo segreto è forse anche quello che farà sogghignare i più sciocchi. Proprio dietro Piazza Maggiore, si erge in tutta la sua altezza la famosa statua del “Żigànt”, come viene chiamato in dialetto, ovvero il Nettuno. Scultura del celebre Gianbologna, è proprio quest’ultimo che crea quella particolarità che oggi possiamo ancora scorgere salendo sulla “pietra della vergogna” della scalinata di Sala Borsa.  

La leggenda vuole che l’artista intendeva escogitare un modo per realizzare il dio con i genitali più grandi di quello che gli fu permesso, ma senza essere scoperto e ammonito dalla Chiesa. Così egli progettò la statua in maniera tale che, da una particolare angolazione, il pollice della mano tesa del Nettuno sembri spuntare direttamente dal basso ventre, suggerendo un organo eretto. Che dire, il Gianbologna ce l’ha fatta sotto il naso…

“Il telefono senza fili”

Rimanendo in Piazza Maggiore, ci spostiamo sotto il voltone del Podestà, quella struttura che si viene a creare dalla congiunzione di Palazzo Podestà e Palazzo Re Enzo. Qui si è soliti vedere le persone con il viso rivolto verso le colonne mentre sperimentano una specie di sound check. “Pronto, pronto? Mi senti?” “Si, si, ti sento”. Il fatto curioso è che i suoni vengono trasmessi da un angolo all’altro della volta. Magia? No, fisica. Questo canale di comunicazione venne ideato nel medioevo per dare la possibilità anche ai lebbrosi di confessarsi, ma oggi tutti lo conoscono come “il telefono senza fili”.

“Canabis protectio”

Lasciando la piazza e dirigendoci verso via Indipendenza, esattamente nel punto in cui questa si incrocia con via Rizzoli, incappiamo in un altro dei segreti, anche se non è possibile notarlo immediatamente se non si sa dove guardare. Bisogna infatti, puntare il naso all’insù verso il soffitto del portico. “Panis vita, canabis protectio, vinum laetitia”, recita la scritta in latino, ovvero “il pane è vita, la cannabis è protezione, il vino è gioia”. Parole sante! direbbe qualcuno. Si ritiene che la dicitura faccia riferimento alla grande ricchezza che il commercio della canapa portò a Bologna, oppure che vada inteso più letteralmente e che rimandi all’utilizzo di questa pianta come sedativo o antidolorifico.

Le tre frecce

Spostiamoci ora verso Strada Maggiore e passeggiamo lungo il portico di Palazzo Isolani, avvicinandoci verso l’ingresso di questo. Ancora una volta bisogna alzare lo sguardo verso l’alto e qui c’è forse tra i sette segreti il meno visibile. Li vedete? Sono tre! Conficcate nel legno scuro del soffitto del portico, vi sono tre frecce. Se già la struttura in legno non fosse un bello spettacolo di origine medievale, allora vi piacerà sapere che riguardo a quei dardi vengono raccontate varie storie. Si narra che una nobildonna venne accusata di adulterio dal proprio marito e per commettere l’omicidio che avrebbe ripagato il torto, furono assoldati tre arcieri. La donna, scaltra e molto bella, al momento opportuno fece cadere le proprie vesti rimanendo nuda e distraendo gli arcieri (come biasimarli!), che scagliarono le frecce sulla volta del portico, mancandola.

Si dice che, in realtà, l’obiettivo del colpo fosse un signorotto bolognese e che l’avvento della donna fosse del tutto casuale. Qualcun altro  parla, invece, di uno scherzo messo in atto da alcuni studenti a Raffaele Faccioliche, che nel 1877 si era occupato del restauro di casa Isolani. L’obiettivo era quello di rovinare il lavoro da lui compiuto con tanta dedizione. Una bricconata che ha lasciato, ancora oggi, il segno.

Di vasi rotti e torri

Se si pensa a Bologna, probabilmente la prima cosa che salterà in mente sarà la Torre degli Asinelli. Se avete un buon fiato e non siete laureandi (ebbene si, come ogni città universitaria che si rispetti, anche Bologna ha il suo luogo off limits per gli studenti che hanno intenzione di portare a termine il loro corso di studi. Quindi: NON SALITE SU QUELLA TORRE!), è vivamente consigliato arrivare in cima al simbolo della città se non per ammirare i suoi tetti rossi dall’alto, almeno per dare risposta ad un dubbio. C’è davvero un vaso rotto sulla cima?  Ecco un altro dei misteri tra i sette segreti a cui neanche i locali sanno dare una spiegazione. Forse sta lì a rappresentare la capacità di Bologna nel risolvere i problemi e i conflitti politici. Leggenda? Realtà? Non lo possiamo sapere.

“Panum resis”

Bologna è anche università e lo sanno bene i tantissimi studenti fuori sede che si possono incontrare ovunque, ma soprattutto concentrati in quello che possiamo considerare il cuore della movida giovanile: Via Zamboni. Qui, oltre a personaggi di dubbio gusto stravaccati al sole con una bottiglia di birra in mano, vi sono le aule in cui si tengono le lezioni. Si dice che in una delle cattedre della storica sede dell’ Ateneo (precisamente al numero 33), vi sia incisa la frase “Panum resis”, ovvero la conoscenza è alla base di ogni decisione”. Non per niente Bologna è detta “La Dotta”.

La “piccola Venezia”

Se vi dicessi che a Bologna è possibile affacciarsi ad una piccola finestrella che si sporge su un romantico canale, dove è possibile ascoltare il fruscio lento dell’acqua e appendere un lucchetto ad un cancello lì vicino in pieno stile Moccia su Ponte Milvio, vi portereste il vostro innamorato? Questo romantico scorcio si trova in Via Piella, conosciuto ai locali anche con il nome di “Piccola Venezia”, proprio per la sua similarità con i panorami della città lagunare. Il canale delle Moline è uno dei pochi corsi d’acqua che non sono stati chiusi durante la Guerra, oltre al forse più famoso canale di Reno. Ebbene sì, se Bologna già non vi sembrava fantastica così, allora aggiungiamo al pacchetto il fatto che questi canali, il cui percorso è stato a lungo nascosto dalle case, oggi siano visibili solo da queste graziose fenditure nelle pareti degli edifici, che rendono questi cantucci ancora più sorprendenti e “instagrammabili”.